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Era una vita che ti stavo aspettando - Santa Famiglia (anno B)

C’è un tempo per ogni cosa, è la sapienza biblica ad insegnarlo (cfr Qoelet 3). Ma quanto dura questo tempo, di cui a volte ci sentiamo padroni ma che spesso ci rende schiavi, chi può mai dirlo con esattezza? Nonostante esista un tempo cronologico che possiede di certo una sua oggettività e può essere misurato in giorni e ore, minuti e secondi, nessuno può negare che viviamo attimi che sembrano interminabili e giorni interi che invece scorrono via fin troppo rapidamente.

Come avranno vissuto Maria e Giuseppe i nove mesi di una gravidanza così fuori dagli schemi? Quali emozioni avranno abitato il loro cuore mentre cullavano tra le braccia quel bambino lontani dalla propria casa, dovendosi accontentare della precarietà di un alloggio di fortuna? Come sarà stato per Simeone ed Anna attendere una vita intera? Come avranno vissuto quel tempo? A noi che rischiamo di essere perennemente fuori tempo, perché bloccati dai rimpianti del passato, appiattiti su un presente senza orizzonte oppure proiettati verso un futuro campato in aria, contemplare la scena evangelica della presentazione al tempio non può che far bene.

Simeone e Anna, a differenza nostra, dimostrano di saper andare a tempo con il tempo. Sanno vivere la propria esistenza non come un semplice susseguirsi di istanti, ma trovandovi un filo rosso che unisce tutto in una storia fatta di volti, nomi, eventi, gesti, luoghi e circostanze. Simeone è capace di fare spazio, di comprendere quando è il momento di lasciare ad altri la scena. Anna sa interpretare la lontananza dagli affetti più cari non come solitudine, ma come apertura al mistero. Entrambi sanno riconoscere il tempo in cui sono stati visitati e, nonostante l’età avanzata, sono capaci di allargare le braccia per accogliere una vita nuova.

Questo intreccio di generazioni rimanda all’esperienza delle nostre famiglie, in grado di insegnarci proprio ad aspettare ed aspettarci. La famiglia altro non è che una vera e propria palestra dell’attesa. Se Maria e Giuseppe impareranno a vivere il tempo affidandosi a Colui il quale ne è Signore, non va dimenticato che perfino il Figlio di Dio si lascerà condurre ed abbracciare. Egli consentirà in alcuni momenti che siano altri a dettare modi e tempi, nell’ordinarietà della vita nascosta a Nazaret o quando permetterà che sua madre affretti i tempi del primo segno a Cana di Galilea. A immagine della santa famiglia, siamo chiamati anche noi a riscoprire che il tempo della vita non va misurato primariamente con l’orologio ma secondo il desiderio del cuore, che rende piene di senso anche le attese più lunghe.


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Lc 2,22-40 

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.


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https://www.youtube.com/watch?v=ggwElE4rlzk 




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